mercoledì 16 aprile 2014

Woody Allen, sadico vecchio bastardo, ovvero Blue Jasmine (Il Ritorno del Cineocchio)

Se voi dite "Woody Allen", a me viene immediatamente in mente questa roba qua:


Capirete quanto sia difficile tentare di essere seri quando i presupposti sono Gene Wilder che si fa una pecora.
Ora tentiamo di liberarci di tutta questa faccenda, di quel Woody Allen, e tuffiamoci in una disamina approfondita della sua ultima pellicola, vale a dire Blue Jasmine.

L'ultima fatica di Woody parla di Jasmine, moglie di un uomo d'affari milionario finito in carcere per una serie di truffe e reati fiscali. La nostra protagonista si trova alla prese con la fine della vita dorata cui il marito l'aveva abituata, e per ricominciare da zero lascia New York e si trasferisce a San Francisco dalla sorella. Sorella che non potrebbe essere più diversa da lei, per gusto, aspettative, desideri.
Riuscirà Jasmine a lasciarsi alle spalle il fallimento della propria vita passata? Riuscirà ad andare avanti?

Il cinema di Allen è cambiato nel corso del tempo, pur mantenendo alcune caratteristiche inalterate. Uno degli ingredienti base, uno dei marchi di fabbrica della sua produzione è il cinismo. Un feroce, disincantato, assoluto cinismo. Con l'avanzare dell'età mi sembra che questa caratteristica abbia assunto una proporzione tale da diventare il nocciolo di ogni suo discorso cinematografico. In questa prospettiva Blue Jasmine non fa eccezione. Allen affronta il tema della crisi economica e delle sue conseguenze. Jasmine rappresenta la parte connivente, tutti quelli che hanno preferito distogliere lo sguardo e consumare ricchezze piuttosto che denunciare i comportamenti spregiudicati di chi ha contribuito a far collassare il sistema. Blue Jasmine è il rovescio della medaglia di The Wolf of Wall Street: se Scorsese sceglie di seguire la parabola di Jordan Belfort con Jordan Belfort come guida, narratore e punto di vista, Allen preferisce affrontare la questione assumendo il punto di vista delle vittime. Se nel film di Scorsese le vittime sono in qualche modo gli stessi amorali carnefici, in quello di Woody Allen sono quelli che hanno pagato per errori altrui. La sorella di Jasmine, Ginger, è emblematica in questo senso: l'ex marito viene convinto a investire una somma vinta alla lotteria dall'ex marito di Jasmine. L'investimento è fallimentare, e con la perdita dei soldi, Ginger e Augie entrano in un vortice che distruggerà il loro matrimonio.

Allen fa cinema con la C maiuscola. La sua è una progressione scandita da tempi perfetti, privi di sbavature, in costante equilibrio tra tragedia e commedia. Nel mondo dipinto da Blue Jasmine esiste una separazione netta tra il mondo luccicante di ricchi e arricchiti, e quello infimo degli ultimi, degli spiantati, dei poveri. In una prospettiva quasi pasoliniana, i personaggi più umili si fanno portatori di Verità. Le menzogne di Jasmine, la maschera che indossa per evitare il confronto con la tragedia, sono rimosse crudelmente dai nipoti, così come dal compagno di sua sorella o dal suo amico. Mettere Jasmine davanti alla realtà sembra un atto inutile, sterile e meschino; dico "sembra", in quanto al termine della vicenda meschinità e crudeltà diverranno caratteristiche proprie di Jasmine. La parabola della donna è una discesa progressiva e inesorabile verso il punto più basso, verso il proprio cuore di tenebra: SPOILER nel momento in cui è rivelata la causa dell'arresto di Hal, qualunque residuo di empatia verso Janet / Jasmine si perde. Tutta la vita di lei è stato un ballo in maschera, interrotto soltanto da un moto di gelosia. Nessuno scrupolo di natura morale, nessun esame di coscienza, nessun desiderio di giustizia: soltanto la vendetta spietata di una donna ferita.

La dimensione tragica del personaggio è rafforzata dalla superba interpretazione di Cate Blanchett. La sua Janet / Jasmine è il film; non soltanto un personaggio centrale, non soltanto il motore della vicenda, quanto piuttosto l'incarnazione dell'idea che la pellicola cinicamente porta avanti. La terribile, effimera, famelica voracità dell'essere umano, la cecità di chi antepone se stesso al mondo intero, gli squilibri che costituiscono l'ossatura sociale dell'occidente, l'incomunicabilità. Il finale si fondo sull'interpretazione che ha fruttato all'attrice il premio dall'Academy. Cate Blanchett si consegna alla macchina da presa senza un filo di trucco, distrutta. Ha perso la possibilità di rientrare nel dorato mondo dell'alta società, ha perso ogni possibile ponte con il passato, qualsiasi speranza di pacificazione e si ritrova sola, seduta su una panchina al parco. L'ennesimo soliloquio del quale si rende protagonista fa allontanare la persona che le sedeva a fianco; Jasmine parla a se stessa nel tentativo patetico di ricostruire la propria identità perduta. Non esiste alcuna redenzione: c'è soltanto un'attrice che ha smesso di credere nella parte che deve interpretare e che non riesce più a mentire a se stessa. Un'attrice che non ricorda più il perché di certe dinamiche (le parole di Blue Moon, la canzone che ripetutamente cita come colonna sonora del primo appuntamento con Hal). Un'attrice che non ha più un pubblico e alla quale nemmeno interessa più averlo.

Janet / Jasmine crolla davanti ai nostri occhi, svanisce senza lasciare traccia. Ciò che si lascia alle spalle è un mondo di compromessi, di invidie, di fallimenti, di morte e di menzogna; l'unico elemento vagamente positivo è dato dalla riscossa del figlio di Hal, che ha superato la tragica perdita del padre e si è ritagliato uno spazio nel mondo; seppure anche la sua riscossa sia timida e in ombra, niente a che vedere con le classiche tappe di un film di autoaffermazione in senso stretto. Il percorso disseminato di ellissi temporali contribuisce a creare un senso di instabilità, di frammentarietà estrema: Jasmine è una scheggia impazzita di un mondo esploso, il suo movimento è inerziale, privo di volontà o di direzione. Conoscere un uomo che potrebbe portarla via dallo stallo in cui si trova è un accidente, così come perderlo a causa di Augie, o per meglio dire a causa della Verità. Il continuo equilibrio agrodolce tra farsa e tragedia termina nell'unico modo possibile: con il dramma più sconvolgente, con la definitiva perdita della sanità mentale, con l'isolamento e con una caduta che non sembra lasciar spazio a un'idea di redenzione.

Jasmine ha concluso la propria parabola umana, e ora è soltanto una voce farneticante le cui parole si perdono nella platea vuota del mondo.

Cineocchio promosso anche questa volta, ma quale profonda amarezza...
Meglio tornare a pensare a Gene Wilder che si fa una pecora.
Alla prossima!

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